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Se il filomonaldismo, come lo chiamò criticamente il grande Timpanaro, ha sempre avuto numerosi cultori, l’atteggiamento opposto non è stato da meno, pur nel riconoscimento ormai unanime dell’affetto sincero del padre nei confronti del figlio. Traggo il carteggio, che non mi è possibile reperire integro, da A. Avòli, Appendice a M. Leopardi, Autobiografia, Roma, 1883, pp. 278 s., ma lo innesto, con una sorta di allegro e allotrio collage, all’interno del commento ben superiore del Chiarini (Vita di G. L. narrata da Giuseppe Chiarini. Firenze, G. Barbèra, Editore. 1905. p. 42 ss), che cita e riporta le stesse medesime lettere, ma in maniera più abbreviata. Si tratta di documenti rilevanti, che, nella loro immediatezza, raccontano meglio di ogni descrizione lo studio matto e disperato di Giacomo e il triste portato fisico dello stesso; nonché le non indifferenti responsabilità del padre, che, pago ed orgoglioso dei grandi risultati ottenuti dal figlio, non seppe o non volle vedere il drammatico costo che questi pagava per ottenerli. Al di là di antistoriche condanne e/o assoluzioni, la grande poesia leopardiana è figlia anche delle discutibili scelte paterne. E se le parole dello zio Carlo Antici (1), reazionario anche lui come il cognato, ma di orizzonti più aperti e vivaci, hanno senz’altro la nostra approvazione, la loro applicazione, forse, ci priverebbe del più grande poeta italiano dell’Ottocento. Le note in calce sono mie.
Carteggio Monaldo – Carlo Antici: estratti dalle lettere:
Quel marchese Carlo Antici, a cui Giacomo aveva mandato la sua lettera in greco, era fratello della contessa Adelaide e, come sappiamo, amico di Monaldo fino dalla infanzia. Benchè, dopo il suo matrimonio con donna Marianna dei principi Mattei, si fosse stabilito a Roma, aveva mantenuto strette e cordiali relazioni con la sorella, col cognato e con la loro famiglia; e andando di tratto in tratto a passare qualche tempo a Recanati nella stagione della villeggiatura, aveva occasione di trovarsi spesso con loro. Ammirando la precocità d’ingegno del piccolo nipote, s’interessava grandemente agli studi e ai progressi di lui, de’ quali Monaldo, che andava orgoglioso di tal figliolo, gli dava frequenti ragguagli. Questi ragguagli fecero intravedere allo zio i pericoli ai quali la soverchia e non mai interrotta applicazione allo studio esponeva il nipote: e ne scrisse 15 luglio 1813 a Monaldo per metterlo sull’avviso.
Con questa medesima lettera l’Antici esortava il cognato a mandare Giacomo a Roma presso di lui, dove, pur distraendosi, avrebbe avuto più largo campo ai suoi studi; e con altra del mese appresso [7 agosto] ripeteva la stessa preghiera e le stesse raccomandazioni:
Qual genitore non si sarebbe arreso all’evidenza di queste ragioni, avendo tutti i giorni dinanzi agli occhi il figlio, che andava tutti i giorni deperendo e deformandosi? Monaldo rispose al cognato:
Questa lettera, del 22 luglio 1813, è in risposta alla prima dell’Antici: con altra, del 21 dicembre dello stesso anno, in risposta a nuove sollecitazioni di lui, soggiunge:
Non c’è bisogno di esser severi nel giudicare la condotta di Monaldo in questo caso; si può anzi spingere la indulgenza fino all’estremo limite ed attribuire veramente all’amor paterno la sua cocciutaggine, ma conviene pur dire che quell’ amore paterno offuscava al padre il lume della ragione.
1 — Zio di Giacomo e cognato di Monaldo in quanto fratello maggiore di Adelaide. Era infatti il primogenito del marchese Filippo e della contessa Teresa Montani di Pesaro dai quali nacque, in Recanati, il 28 novembre 1772. Amico d’infanzia di Monaldo, fece i primi studi col medesimo precettore, il gesuita messicano don Giuseppe Torres. Studiò poi in Germania, nel Collegio Reale di Monaco di Baviera e in seguito a Heidelberg, per apprendervi giurisprudenza. È interessante notare che le scuole tedesche, a quel tempo, curavano particolarmente l’attività ginnica, e secondo un suo biografo l’Antici vi si segnalò in modo particolare, per cui i buoni consigli del 1813 dati al cognato per la salute del nipote, non appaiono solo parto del normale buon senso. Si sposò nel 1802 con Marianna Mattei, figlia del principe romano Giuseppe e della principessa Giovanna Corsini, e dalla quale ebbe dodici figli molti dei quali gli premorirono. Indi, pian piano si trasferì a Roma, ove, come già in Recanati, ricoprì parecchie cariche pubbliche. Tradusse dal tedesco e scrisse numerose opere di argomento religioso morale e politico, su riviste varie, fra cui la stessa monaldiana «Voce della Ragione». Reazionario come Monaldo, era però più aperto e inserito nel suo tempo che non il cognato; «integro, manieroso, culto e di bello ingegno; ma fiero della sua nobiltà, di natura ambiziosa, vinta un poco dai tempi e dalla pietà»: così lo descrive il cugino Terenzio Mamiani. Morì a Roma il 26 febbraio 1849, per una pleurite contratta qualche giorno prima. 2 — Samuel Auguste David Tissot, medico svizzero (1728-1797), noto per i suoi studi sull’onanismo e sull’epilessia. L’opera citata, propr. De la santé des gens de lettre, era uscita originariamente in latino (Sermo academicus de litteratorum valetudine), nel 1766. Venne poi tradotta in francese e pubblicata dall’autore nel 1775, a seguito di una scorretta e non autorizzata traduzione francese uscita nel 1768. Pure, il titolo spurio di quest’ultima è nel nostro contesto significativo: Avis aux gens de lettres et aux personnes sédentaires sur leur santé. 3 — Doverosa ma ovvia la citazione dell’adagio: mens sana in corpore sano (Iuv. 10, 356, ove però il senso è diverso, e assume valenze di matrice stoica). 4 — Dal lat ultro ‘spontaneamente’, e quindi ‘di propria iniziativa, non richiesto’ (a meno che, come nel linguaggio forense, non prevalga la falsa analogia con ultra, da cui il significato di ‘che va oltre’). 5 — Ragguardevole famiglia di Recanati, ove, come dalla marchesa Roberti, si teneva “conversazione”. 6 — Cioè “poiché mancate anche voi”.
Illustrazione — Carlo Antici (Roma, litografia Danesi). |
© 24-11/2010—> 20.06.2019