Quel cagnotto “tranzesco” del Ranieri
Testo secondo L’Epistolario Brioschi-Landi, vol. 2, p. 1594 s. (n. 1406 = Moroncini 1370; l’originale alla BNN, CL, busta xxv. Ranieri ha lasciato alla Biblioteca Nazionale di Napoli una vera e propria montagna di carte autografe, che non basta la vita di uno studioso per mettervi ordine; pure, questa è l’unica lettera rimasta della sua corrispondenza verso Leopardi, a fronte delle 43 missive dell’amico. Che altre lettere esistessero, basta anche un’intelligenza mediocre come la mia ad immaginarlo (d’altronde è espressamente e ripetutamente testimoniato da Giacomo, es. nella lettera del Natale 1832: BL, vol. 2, p. 1971, n.1813). Che egli le abbia distrutte, è uno di quei misteri di cui il Ranieri non è mai stato parco. D’altronde erano sue, e poteva aver bene il diritto di fregarsene delle curiosità dei posteri, mentre noi dobbiamo comunque ringraziarlo per aver lasciato sopravvivere i bigliettini dell’amico, che tanto solleticano le fantasie degli epigoni odierni del Prof. Patrizi. Quanto ai personaggi nominati, Carlo è Carlo Troja, storico di cui Ranieri si trovò a condividere l’esilio; Sandrino è Alessandro Poerio, amico anche lui carissimo di Giacomo; gli Imbriani sono gli esuli Matteo e il figlio Paolo Emilio; mentre i conti Marchetti erano vecchia conoscenza del poeta che datava dal suo soggiorno bolognese. A questa lettera Leopardi risponderà il 31 dicembre. Una parola sullo stile: vanitoso, ma mosso e vivace, in cui trapela già una discreta conoscenza della lingua di Toscana (molto carino il cosiddetto ‘e della ripresa’, ad fin.: «Se volete arricchirmi di qualche vostra troppo desiderata epistola, e voi indirigetemela a Bologna»), che fa rimpiangere che il Ranieri, allora ventiduenne, abbia in seguito aderito troppo supinamente al formalismo stilistico del Puoti.
Nota filologica — È doveroso correggere un errore testuale che ormai si ripete da quasi ottantanni, anche nel recente Guarracino (1) a proposito del «cagnotto tranzesco» ab in. Ora, ‘cagnotto’ è termine spesso usato dal Ranieri, e non solo da lui, nel senso dispregiativo di ‘satellite, (as)soldato, poliziotto’, cui può ben corrispondere il nostro “scagnozzo”. Ma quel «tranzesco», confesso candidamente di non sapere da che cilindro sia uscito. Forse da (ol)tranza? e quindi “eccessivo” > superbo, sgarbato? Con ottima probabilità sia il Moroncini che i Brioschi-Landi leggono male, anche perché nella grafia del Ranieri, come in molti di noi, la ‘n’ a malapena e assai di rado si distingue dalla ‘u’. Il termine giusto è quindi ‘trauzesco’, adoperato più d’una volta da Carlo Botta nella Storia della guerra dell’ independenza degli Stati Uniti d’America (I ed. 1809, ma prob. Ranieri leggeva nella quasi coeva ed. fiorentina del Marchini del 1822). Detto termine, che sarà caro, forse non a caso, anche a Vittorio Imbriani (1840-1886, figlio di Paolo Emilio), è usato già dal Machiavelli (Legazione in Francia, 2 febbr. 1503) per un non identificato individuo proveniente dai cantoni svizzeri. Il Botta lo adopera anche con riferimento agli eccessi cui si lasciavano andare i mercenari dell’Assia, a fianco degli Inglesi. L’Imbriani lo usa come sinonimo di “Tedeschi” (Scritti letterari, Bari, Laterza, 1907, p. 351, e altrove), ma da quanto detto non può essere neologismo suo, come ha creduto, in tempi recenti, il Pusterla (2) seguendo una suggestione del Soldini (3). Qui significherà, più o meno, “austriaco, austriacante prezzolato”.
1 — In Addio, anima mia, ō poly epikaloumene, Il carteggio Leopardi-Ranieri, a cura di Vincenzo Guarracino, Milano, Aisthesis, 2003, pp. 42; 84. Di più non posso dirne perché è localmente introvabile. Rilevo però che non è lavoro a fine filologico. 2 — Vittorio Imbriani, Racconti e prose, vol. 2 (1877-1886), a cura di Fabio Pusterla, Fondazione Pietro Bembo, Ugo Guanda Editore, Parma, 1994, p. 116. 3 — Cfr. Fabio Soldini, Negli svizzeri. Immagini della Svizzera e degli svizzeri nella letteratura italiana dell'Ottocento e del Novecento, Venezia, Marsilio, 1991, p. 99, che lo fa derivare dal ted. “trauen” = ‘esser fedele’, «a indicare antifrasticamente tradimento (proprio del mercenarismo)». Ove, per inciso, il Pusterla legge dislessicamente «mecenatismo». |
© 08-06/2010—> 14.02.2012