Testo in Franco Ridella, Una sventura postuma di Giacomo Leopardi, Studio di critica biografica, Torino, Carlo Clausen, 1897, p. 32 s., che, se non ho inteso male, lo trasse da «Parva Favilla», 4 gennaio 1891, numero unico, Portici. |
Napoli, 1 Luglio 1837.
Mio carissimo Niccolini,
Vi mando una copia della prima notizia del nostro adorato amico che ho mandato al Progresso1, e che sarà come spero, stampata nel quaderno di marzo, mi pare, e d’aprile2, ritardato per le funeste condizioni del tempo3. Nell’altro quaderno mi prometto di dare una notizia più compiuta anzi una vita. Ma come farò a a tener fra i ceppi il pensiero che vorrà di continuo sollevarsi dietro all’ingegno divino in cui si specchia? Vi sono gratissimo della consolazione che cercate di porgermi, e, certo, mi è di qualche conforto l’avervi compagno alle mie lagrime. Ma se vi rimane ancora qualche impressione dell’indole mia e della natura dell’amicizia che mi stringeva al Leopardi, che mai non fu e mai più non sarà la simile fra gli uomini, potrete forse comprendere qualche parte del mio dolore direi quasi più che umano. Ho creduto che insino la mia ragione volesse abbandonarmi, perchè vi giuro che mi sorprendo spessissimo a ragionare con lui, e lo veggo a ancora vivo e vero accanto a me che mi discorre le più sublimi ragioni d’ogni più nobile ed eccelsa disciplina. Non ho più lacrime. Gli occhi mi si schiantano dalla fronte, e forse non è lontana l’ora che sarò ricongiunto al mio adorato amico nel gran mare dell’eternità. Ma se vi è caro, come vi è certamente, d’intendere ancora più oltre degli ultimi suoi istanti e del mio tremendo dolore, abbiate la bontà di risparmiarmi un ritorno in su un racconto cotanto lagrimevole. E poichè non ho potuto mancare di dirne qualche parola alla Fanny4; che me ne domanda espressamente, abbiate la carità di gettare un’occhiata alla qui acclusa, e poi chiuderla e mandargliene. Addio, mio caro Niccolini. Se non morrò fra la strage de’ miei, forse vi rivedrò un giorno. Ma non avrò mai un vero contento sulla terra, perchè non avrò mai più con chi dividerlo nè a chi raccontarlo almeno!
Veder d’in sulla soglia levar via etc. . . . . . . . . l’usata compagnia!5
1– «Giornale liberale fondato a Napoli da Giuseppe Ricciardi nel 1832» (nota di F. Ridella). 2– Venne poi pubblicato nel quaderno di maggio : “Il Progresso delle Scienze, delle Lettere e delle Arti”, vol. XVII, Anno VI, n. n. 33 (maggio e giugno), Napoli, dalla Tipografia Plautina, 1837, p. 166 s.). 3–Ovviamente non quello atmosferico, ma, come indica l’aggettivo funeste, R. allude alla coeva epidemia di colera. 4– Fanny Targioni-Tozzetti; cfr. Elisabetta Benucci, «Aspasia siete voi…», Lettere di Fanny Targioni Tozzetti e Antonio Ranieri, Edizioni Osanna Venosa, Venosa, 1999, p. 134 ss. 5– Ranieri contamina di proposito due luoghi dei Canti: XXX, 89 ss. «Veder d’in sulla soglia levar via / La diletta persona / Con chi passato avrà molt’anni insieme / E dire a quella addio senz’altra speme / Di riscontrarla ancora / Per la mondana via»; XXIII, 65 ss. «Che sia questo morir, questo supremo / Scolorar del sembiante, / E perir dalla terra, e venir meno / Ad ogni usata amante compagnia». |
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