Con tutto che esistessero,
ai tempi in cui venne redatto questo componimento, versificazioni varie Contro
questa o la tal altra stupidaggine,
con tutto che insulsaggini consimili vennero composte anche in età classica
(cfr. ex contraria parte, L’elogio della mosca di
Luciano, e tutto il repertorio ellenico pro e contro quella o quell’altra “quisquilia”),
noi non faremmo carico al Leopardi undicenne di una erudizione prematura,
di cui per certi versi egli poteva comunque possedere già qualcosa
di più d’un semplice sentore. Pure l’intento ironico-satirico,
se pur in nuce, anticipa già qualche prodotto di ben
altro spessore, e piace comunque trovarsi davanti al giovane contino
strafottente ed altezzoso, fin verso gli inferiori (cfr. v. 10). La Corti
ricorda, en
passant, che Giacomo era a tavola alquanto schizzinoso. Ma ciò era
probabilmente dovuto alle idiosincrasie, più o meno motivate,
del valetudinario cronico. Il piccolo Muccio, ancor sano, come la gran
parte dei bambini era semplicemente insofferente alla “minestrina”,
e, come loro, forse più al modo e al tono con cui viene, ci veniva,
ed anche a lui veniva ammannita. Piuttosto stupisce come egli, già a
undici anni, riuscisse ad oggettivare la sua antipatia gastronomica,
e a darne un gustoso ritratto in versi. Testo secondo la Corti; pubblicato
la prima volta in un paio di riviste da A. Pescio nel 1937. |
Apri, o canora Musa, i boschi di Elicona, È ver, ma chi desidera la Dio mercè esser
sano |
5 10 15 20
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1 – I vv. 19-22 sono pronunciati da un immaginario contraddittore, il «furioso» del v. 17 (Monaldo-Amostante?).
© 07-06/2010—> 02.10.2010