Edizioni
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Starita 1835: A
lato il frontespizio dei Canti, nella fondamentale copia di scarto dell’edizione
Starita 1835, che venne utilizzata da Leopardi e dal Ranieri per le correzioni
e integrazioni che sarebbero dovute confluire
nella ventilata, ma mai realizzata, edizione Baudry.
L’edizione
Baudry, come è noto, non ebbe luogo, ma confluì nella
Lemonnieriana del 1845, curata dallo stesso Ranieri, che costituì per
oltre ottant’anni, vera e propria vulgata, l’edizione di
riferimento dei Canti (specie nella sua realizzazione del
’56, che, pur essendo la quarta edizione, conteneva un numero maggiore
di arbitri che non la prima).
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Le Monnier 1845: Copertina originale della princeps fiorentina dei Canti (1845), per cura del Ranieri, nell’ordinamento definitivo degli stessi, che ancora oggi noi seguiamo. L’edizione fiorentina non fu delle più felici, e se il Ranieri se ne lagnò a più riprese, noi oggi dovremmo lagnarci del suo scarso spirito filologico. Nondimeno le critiche del Moroncini nei suoi confronti vanno in parte riviste, e non tutti gli errori a lui attribuiti (un centinaio per Moroncini) sono in effetti tali. Di sicuro rimane il fatto che questa edizione costituì la vulgata ottocentesca, e sebbene voci si siano levate contro di essa (Antona-Traversi, D’Ancona, Mestica) essa non sarà sostituita degnamente che dal grande Moroncini (1827).
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Moroncini
1927: Sovracoperta
della classica edizione critica del benemerito Francesco Moroncini,
edita in Bologna, per i tipi di Cappelli Editore, nell’anno 1978
(riproduzione anastatica, in volume unico, dell’originale, in due
tomi, del 1927).
Il Moroncini
nacque come il poeta a Recanati, nel 1866, e, come lui morì a
Napoli, nel ’35. Grandissimo conoscitore di tutta l’opera leopardiana,
di cui pubblicò quasi tutto quello che c’era da pubblicare,
seppe finalmente colmare la necessità di una edizione dei Canti adeguata
ai tempi (sono gli anni che precedono la "critica degli scartafacci"),
e finalmente rispondente alle intenzioni dell’Autore. Questa fondamentale
edizione, "felice incontro di sapiente empiria e di strenua acribia" (G.
Folena), dopo aver tenuto banco per oltre cinquant’anni, è tuttora
utilissima, e comunque imprescindibile. |
Peruzzi
1981: La sovracoperta riprodotta, costruita sull’autografo
napoletano de L’infinito (diverso da quello vissano che
solitamente si trova in rete), è quella dell’edizione
critica di Emilio Peruzzi, edita nel 1981 a Milano da Rizzoli
Editore. Questa edizione si segnala a un tempo per leggibilità,
completezza e semplicità d’uso. Del tutto priva di un’introduzione
storico-critica, che esula dagli scopi che il Peruzzi si è prefisso,
contiene però la riproduzione di pressoché tutti
gli autografi utili alla costituzione del testo. Unico neo, a
mio modestissimo parere, una certa timidezza dell’editore ad
intervenire sul testo tràdito, che dà luogo a qualche
contraddizione, stranamente, a volte, felice (cfr. le note al
testo della mia edizione elettronica). E comunque piccolo difetto,
cui può agevolmente supplire la sensibilità e l’educazione
del lettore, che può sempre, grazie alla chiarezza esaustiva
dell’apparato, rimescolare le carte, e giungere a scelte diverse. |
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De Robertis
1984: Chi, sulla
scia del grande Pasquali, fosse interessato alla storia della tradizione,
può e deve affidarsi all’edizione critica (ne riproduco
il frontespizio) di Domenico De Robertis, edita da Il Polifilo,
Milano 1984, la cui ampia e dotta introduzione fa veramente il
punto sulla questione. Diversamente da quello del Peruzzi, la cui
edizione, all’ingrosso, potrebbe definirsi genetica, l’approccio
e l’apparato sono di tipo evolutivo; ovvero lo studioso tiene come
testo base la prima stampa o, in mancanza, il primo autografo compiuto,
per registrarne le modifiche nel tempo. Il Robertis, rispetto al
Peruzzi, mi sembra più franco e sicuro di sé, e nella
sua edizione, supportata dalla riproduzione degli autografi in
misura anche maggiore, è agile e sintetico cogliere al volo
l’evoluzione poetica leopardiana. Ma la sintesi va un po’ a scapito
dell’analisi, e non sempre è agevole prendere tranquillamente
a base il suo testo per una "normale" edizione, elettronica o no,
dei Canti. Per il semplice fatto che lo suggerisce, ma non
lo dà. Senza contare che la troppo rigida e meccanica esclusione
degli autografi e della Lemonnieriana dal canone editoriale non è detto
sia sempre giustificata (per es. a XVII, 35 o ne La ginestra). |
Gavazzeni
2006: L’edizione 2006 (ristampata nel 2009 con
l’aggiunta di un terzo tomo contenente le poesie varie del
Recanatese, ivi chiamate Disperse) si segnala per un diverso
approccio e apparato rispetto alle edizioni precedenti, apparato
che vuol essere più razionale delle edd. Moroncini e Peruzzi,
e al contempo meno spoglio di quello del Robertis. L’opera è apprezzabile
per la tentata sintesi fra piano sincronico e diacronico, e per
lo sforzo formale d’interpretazione, cui però non
sempre corrispondono i risultati. D’altro lato la mole di
autografi digitalizzati merita da sola la spesa di questa edizione
edita dalla Crusca, dalla cui plurisecolare scienza c'era però
da aspettarsi molto di più;
il volume delle Disperse, poi,
dà troppo spesso l’idea di un’esercitazione, non di rado infelice,
da seminario universitario. [2010] |
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