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SCELTE TESTUALI

Si segnalano alcuni passi di più o meno dubbia interpretazione, dando, al contempo, ragione delle corrispondenti scelte testuali. Dette motivazioni saranno comunque raggiungibili anche nel testo, tramite i relativi collegamenti ipertestuali.

 

Frontespizio – Ho scritto “CANTI | DI | GIACOMO LEOPARDI.”, come nell’edizione Moroncini (ed. 1978 p. I), che riproduce l’esatto incolonnamento e il punto finale. Non corretto l’incolonnamento del Robertis (ed. 1984, p. III: “CANTI | DI GIACOMO LEOPARDI”; v. più sotto la riproduzione), mentre il Peruzzi (ed. 1981, pp. II s.) ha evitato il problema ponendo a latere del suo frontespizio quello della Starita. Invece esatta l’ed. Gavazzeni (ed. 2009, p. 3; prima ed. 2006), che aggiunge, per la prima volta in un libro a stampa, «EDIZIONE CORRETTA ED ACCRESCIUTA | DALL’AUTORE.» (correzione di mano del Ranieri sul precedente «EDIZIONE CORRETTA, ACCRESCIUTA, | E SOLA APPROVATA DALL’AUTORE.») aggiunta che chi scrive aveva effettuato di suo otto anni prima sul web, nell’edizione 1998 di queste stesse pagine (si legga, se si vuole, come iattanza, ma tacerlo non sarebbe filologicamente corretto). Segnalo di nuovo che il nome dell’autore è nella Starita ombreggiato, come già nell’ed. 1831 (nel mio frontespizio link alle riproduzioni): stile che per ragioni logistiche, qui e nei titoli di alcuni canti, sostituisco con colore rosso. Il Gavazzeni non segnala l’ombreggiatura, nè la diversa correzione del Ranieri, che scrive «ed» con le minuscole (ma va da sé che a testo la congiunzione vada uniformata). Se altra svista di nessun conto è la dimenticanza del segno di incolonnamento (sc. l’erroneo «ACCRESCIUTA, E SOLA APPROVATA») più grave è l’omissione in apparato della diversa lezione nell’ed. Piatti 1831 («CANTI | DEL CONTE | GIACOMO LEOPARDI», e cfr. già prima le edd. ’24 e ’26 di Canzoni e Versi ove il «conte» è parimenti presente) in quanto vera e propria, e ben ponderata, variante d’autore. In effetti già nei suoi primi lavori Giacomo rifuggiva dall’indicazione del titolo nobiliare, ma poi preferì aggiungerlo su consiglio del Giordani, non per averne un titolo di merito, ma per stigmatizzare l’apatia della classe nobiliare italiana, e proporsi ad essa come esempio e sprone. Il fatto che nella Starita Leopardi tornasse alla scelta primitiva è quindi segno di un “ritorno alle origini”, di cui il frontespizio non è unica testimonianza coeva. Ma è anche segno di un certo distacco, per altro anche questo in certa misura attestato, dalle posizioni del Giordani, e soprattutto il riconoscimento, in linea con le sue convinzioni filosofiche, della vanità dell’uomo e delle sue istituzioni. [1998 —> 2010]

VIII, 43 – Contro la Starita, leggo «fratricida», col Moroncini. L’equazione eufonica “propio/fraticida” proposta dal Peruzzi (p. 202 ad fin.) è causa persa a fronte dell’ironia non benevola del Leopardi stesso: «Il vocabolario dice solamente fraticida e fraticidio. Ma io, non trovando ch’Abele si facesse mai frate, chiamo Caino fratricida e non fraticida». Cfr. l’ed. del Moroncini ad loc. per questa e consimili testimonianze. Data la non dissimulata antipatia del Leopardi contro il purismo della Crusca (dalla princeps del 1612 alla 4a ed. non vi si contemplano le forme latineggianti), un suo cambio di opinione in proposito è improponibile. Senza contare che la lezione «fratricida» è ricca di attestazioni (An, B24c, F31, F45).

X, 35 - L’apparato del Peruzzi («Che dicevi, o mio cor» con virgola già in An) contiene un evidente errore, contraddetto più avanti dalla stessa tav.116, che riproduce l’autografo napoletano. In An non è traccia alcuna della virgola; che per di più non risulta far parte di alcun anello della tradizione testuale; vale a dire, oltre all’autografo, Bolognese del ’26, Fiorentina del ’31, Starita e Le Monnier 1845. Per la mia scelta divergente v. anche infra, nota a XXXVIII, 11. [1998] Nella ristampa Peruzzi del 1998 l’errore è stato corretto, ma ne è rimasta traccia nell’ultima fascia d’apparato, ove si legge ancora «dopo la seconda virgola». [nov. 2010]

Frontespizio Canti, ed. De Robertis 1984

XIII, 20 - «Leggo “non già ch’io”, col Moroncini p. 407 e n. (scelta già del Ranieri: cfr. ancora Moroncini, p. XVI n. 3); al mio orecchio la scelta conservatrice del Peruzzi (“non già, ch’io speri”: così la Starita) non stona, né stonerebbe in un contemporaneo di Ungaretti o di Gadda; ma Leopardi non scriveva nel ’900, e possedeva, oltre che una musicalità diversa, una grammatica diversa». Così, molto ingenuamente, scrivevo a fine ’97. In realtà ho dovuto constatare che l’uso del giovane Leopardi era proprio quello di premettere la virgola alla congiunzione “che”, per cui il problema è tutt’altro che peregrino. [24-02-2000]

XV, 22 - Il punto e virgola dopo sonno non è corretto per il Ginzburg e per molti editori, ma si giustifica nel confronto dei passi paralleli: questo è l’unico discorso diretto che presenti subito dopo «disse» un forte segno d’interpunzione. Tanto più che, introdotto in B26 (gli autografi recano la semplice virgola), è sempre stato mantenuto, sia in F31 che in N35. Cfr. l’ed. De Robertis I, p. 125 ad loc.

XVII, 35 - Concordo col Peruzzi nell’importante innovazione del nuovo inizio di strofa prima di «Impallidia», secondo l’autografo e non secondo la Starita corretta (cfr. ed. Peruzzi p. 346, nota ad loc.). Non mi risulta che la rientranza nel testo dell’autografo fosse stata notata - o dovrei dire “annotata”? - dal Moroncini o dal Robertis (dati i criteri cui quest’ultima edizione s’informa, si può comprendere l’omissione, ma omissione, comunque, resta). Una conferma all’ipotesi del Peruzzi mi sembra l’analoga ripresa - per il movimento testuale, per il senso e per l’analoga alternanza dei personaggi - all’inizio di strofa di v. 59.

XIX, 146 - Ritengo che la lezione «giovi:» sia una delle infelici coerenze dell’ed. Peruzzi, che pur nota (ad loc.) che il Leopardi scrisse al de Sinner di correggere, nella edizione fiorentina, «giovi:» con «giovi;». Cfr. anche De Robertis p. XCVI, e la sua ed. ad loc.

XXIII, 11 - Non sono certo il primo ad accorgermi che la mancanza di un segno di interpunzione dopo «albore», omesso sia nella Fiorentina che nella Starita, ha di che urtare. Dal momento che l’autografo reca il punto e virgola c’è da pensare che, per uno dei soliti accidenti tipografici, si sia perso per strada nell’ed. fiorentina, e poi da questa l’omissione si sia trasmessa alla Starita. Anche perché se Leopardi avesse voluto rilevare con più forza una quasi contemporaneità fra «Sorge» e «Move» - che però osta con l’immagine stanca ed annoiata del risveglio che già osservava il Levi - avrebbe potuto optare per la semplice virgola, come al v. 3, senza una scelta così drastica. Ma poiché la virgola non è della tradizione, per la grammatica, e per l’analoga partizione trimembre dei vv. 3-4, fra le due soluzioni, ovvero fra il punto e virgola e l’asindeto, rimane sempre meglio la prima. Soluzione condivisa da Binni-Ghidetti ed altri (l’unico passo parallelo che ricordo è quello di XXX, 15, ma l’asindeto è ivi giustificato dal fatto che «se» ha valore disgiuntivo, non ipotetico). [1998-99] Ma poiché non si finisce mai d’imparare, un passo parallelo ben più cogente è quello di XXIV, 9 s. «Risorge il romorio | Torna il lavoro usato», ove oltretutto ricorre quasi lo stesso verbo, per cui oggi propendo per l’asindeto. [nov. 2010]

XXIV, 53 - Dopo «dolor» ci va la virgola, il punto e virgola o i due punti? La domanda mi sembra ora retorica ma nelle tre edizioni critiche da me consultate nel ’97 vi erano indicazioni contrastanti sulle fonti, in cui di sicuro c’era solo che qualcuno sbagliava... Nella fattispecie si trattava del Peruzzi, che nel 1998, ristampando la sua edizione, corresse questo luogo. D'altro canto, per una strana coincidenza, la riproduzione della Starita di cui allora mi giovavo era in questo stesso punto errata. Per cui non mi rimase che accettare al buio la lezione di chi questi originali li aveva visti, lieto ora di aver fatto la scelta giusta, se lo stesso Ranieri, nella sua edizione del ’45 preferì chissà perché il punto e virgola, che per un bel po’ fece scuola (presente ancora nel pregevole commento del Levi, edito nel 1921). Piuttosto ora occorrerà sottolineare che l’innovazione “due punti” (F35c), contro la semplice virgola di F31 e N35, si giustifica col nuovo dettato, duramente ironico, del verso 51; se la coordinazione andava bene per il Leopardi “simpatico” e quasi compassionevole del 1828, che scriveva «Prole degna di pianto», quello del 1836-37, che riscrive con sarcasmo «Prole cara agli eterni», ricerca un diverso ritmo, una diversa sintassi, una diversa punteggiatura. [nov. 2010]

XXVI, 11 - Con la Starita, contro la Vulgata del ’45, accetto la scelta del Peruzzi e del Robertis («propio»), che hanno buone ragioni nel rimandare a XXXV, 1 (vedi infra). In effetti una lezione conferma l’altra.

XXXIV Titolo - Una delle felici contraddizioni a quanto il Peruzzi dichiara a p. 559 ad fin. («Questa edizione non ha il còmpito di stabilire testi»). Egli in effetti, qui lo stabilisce, offrendo la virgola dopo «LA GINESTRA», secondo l’edizione ranieriana del 1845. Ciò va contro la scelta del Moroncini e del De Robertis, conforme alle tre copie autografe del Ranieri stesso, che tale virgola non hanno. Come dice De Robertis, l’ed. 1845 va considerata come una sorta di prima edizione critica dei Canti (p. XCVIII ad fin.). Ma in questo caso proprio Ranieri45 è da seguire, in quanto la virgola si conforma all’usus scribendi  dell’Autore: cfr. i titoli dei canti VII-VIII, su cui non esistono dubbi. Dubbi, invece, sorgono sulla robertisiana opportunità di escludere sempre e a priori la Lemonnieriana dal canone editoriale. Comunque sia, ciò che qui taglia la testa al toro è il fatto che nell’Indice, a p. 4 della Starita corretta, la virgola c’è.

XXXIV Epigrafe - Troppo spesso gli editori sono un po’ affetti da quella «devozione feticistica alle copie manoscritte» di cui ragionava L. Canfora a proposito delle «congetture diagnostiche» del Maas. A me non sembra del tutto corretto abdicare alla emendatio litterae minutae, nel caso di «Giovanni» (p. 558 ad fin. nella ed. Peruzzi 1981). Tanto meno nella Gavazzeni che ci regala minuscolo persino il titolo: nelle altre due epigrafi l’autore è sempre in maiuscolo, mentre dei titoli non mette nemmeno conto parlare. Ma sia pure, e teniamoci alla sola diplomatica: dopo «Giovanni, III, 19» ci va però il punto fermo, come in "PETRARCA." e in "MENANDRO.". E soprattutto come in R3: Sia detto non contro il grande Peruzzi, di cui questa è una rarissima svista, peraltro corretta nella ristampa 1998, ma contro psudoeditori che spesso copiano e male. E perché poi relegare l’epigrafe in apparato? Se il Leopardi l’ha messa lì, quello è il suo posto. [11-2010]

XXXIV, 60 - Stando al puntuale apparato del Peruzzi, in nessuna delle tre copie del Ranieri vi è la virgola dopo «fece». Ciononostante, fin dall’Ottocento quasi tutti gli editori ce l’han messa. Con la grande eccezione del Moroncini, la cui scelta condivido, in quanto offende più la lectio vulgata che non il Leopardi. E che di lectio vulgata sembri trattarsi lo conferma, ad locum, l’apparato del Robertis, più lacunoso del dovuto (non v’è alcun cenno alla lezione contraria degli autografi: io non ho visto le prime due copie ranieriane, ma della terza ho due riproduzioni: e la virgola non c’è). [1998] Confermo ora, dopo averle viste, l’assenza della virgola in tutte e tre le copie, cui si aggiunga la lemonnieriana del 1845 (= 1849 = 1851; la virgola apparirà con l’ed. 1856). V’è da credere che la fin di verso abbia anche per Leopardi, spesso, valore insito di segno d’interpunzione. [nov. 2010]

XXXIV, 109 - Il caso è dubbio: «sì, ch’avanza» (Ranieri 1 e 2, F45) o «sì che avanza» (Ranieri 3)? I passi paralleli dei Canti sembrano dar ragione alla terza copia del Napoletano, ma il più emblematico di essi (XXXVIII, 44) ha la virgola. Comunque sia, chi contamina le due lezioni, scrivendo “sì, che avanza” (Flora, Binni-Ghidetti), commette l’arbitrio maggiore. [1998] Di fatto i passi paralleli non possono essere decisivi; un esame comparato dell’usus leopardiano porta alla giustificazione di entrambe le lezioni, anche se permette di scoprire, in Paralipomeni, VII, 19, 8 un contributo importante in favore della terza copia: «Si rende sì che avanza ogni vivente». Ma trattandosi anche in questo caso di copia di mano del Ranieri, una lezione potrebbe far di traino all’altra. L’interpretazione del passo non aiuta molto; la lez. di R1 ed R2, accentuando la consecutiva, dà luogo a una mezza tautologia (”distrugge in modo grande, totale, a tal punto che non rimane quasi niente“) mentre la lez. di R3 è più logica e narrativa, ma se la seconda soddisfa un Leopardi contemplativo, la prima soddisfa quello polemico. Infine, a prescindere che il «che» sia tronco o meno, la variante con la virgola mi sembra lectio difficilior. [nov. 2010]

XXXIV, 148 - Prima e seconda copia del Ranieri, nonché l’edizione del ’45, hanno «Contra». Penso che in questo caso siano da preferire alla copia più autorevole, che ha «Contro», e che va contro l’usus dello scittore: nei Canti vi son altri due esempi di «contra» (II, 173; VIII, 110) e nessuno di «contro». Ancora una volta discutibile l’apparato lacunoso del Robertis. [1998] Si veda per l’esempio opposto, I nuovi credenti, v. 40, ove preferirei, dato il genere satirico, la forma «contro»: È un fatto che nei Paralipomeni essa sia in netta maggioranza con un solo caso di «contra» ( I, 33, 4), ove potrebbe giustificarsi in quanto discorso indiretto di cui vien parodiato il tono. [nov. 2010]

XXXV, 1 - Accetto la scelta eufonica di Peruzzi e De Robertis: "propio", con la Starita, contro l’autografo Ranieri. Cfr. l’analogo caso di XXVI, 11.

XXXVIII, 11 - Scrivo con la Starita "Di sommergermi o nembi", senza la virgola prima del vocativo (contra Moroncini p. 671 n. = Peruzzi p. 585 n.). Dice giustamente Moroncini che "da ultimo" - e si potrebbe circoscrivere il discrimine all’edizione fiorentina del ’31 - l’uso del Leopardi era quello di mantenere il vocativo fra le virgole; ma qui si tratta di un lavoro giovanile, ispirato dal turbamento amoroso per la Cassi, e il poeta potrebbe aver mantenuto la punteggiatura originaria per una sorta di "affetto a ritroso", allo stesso modo in cui sorrideva, con un certo rimpianto, a tante idee giovanili che oramai non erano più sue; a mio avviso, poi, la mancanza della virgola giova ad una lettura a viva voce, che il giovane Giacomo doveva aver sentito con particolare commozione. Ma al di là delle impressioni personali che possono essere ingannevoli è fatto incontestabile che l’autografo, la Bolognese del ’26 e la Starita corretta mi diano ragione; cui si aggiungono le testimonianze dell’edizione Piatti del ’31 e della stessa Bolognese per quanto riguarda X, 35 "Che dicevi o mio cor", (cfr. supra ad loc.; XXXVIII non è presente nell’edizione fiorentina) ove De Robertis (p. 152, cfr. p. CIV) fa analogo discorso. La concordia delle stampe, cui si aggiunge che, diversamente dal caso in questione, l’ed. Ranieri 1845 non corresse X, 35 (cfr. ed. Moroncini, XVI p. 4) sembra tutt’altro che casuale, e secondo me va valutata in modo geometrico, non aritmetico.E se si accetta il principio che Giacomo, a seconda dell’eufonia, potesse indifferentemente scrivere "proprio" o "propio" (cfr. supra, VIII, 43) a maggior ragione lo si dovrà lasciar libero di eccepire alle sue stesse regole di interpunzione, specie se l’eccezione può essere in qualche modo motivata, come in questo caso dove l’affinità fra i due componimenti,ben rilevata dal Robertis, e proprio fra questi e non altri, è decisamente cogente. Si aggiunga, per X, 35, un’altra eccezione alle regole: è rimasto, evidentemente non a caso, l’unico componimento in cui in-dentro e in-fuori sono invertiti, secondo la prassi giovanile (in B26 la medesima disposizione anche nell’elegia da cui venne tratto XXXVIII).

Note. - Nota 1: col Moroncini (p. 15 s.) avevo aggiunto la virgola dopo «avendo veduto il fatto»; ed eliminato quella dopo «occorrenza» (ma lasciata quella dopo «considerazioni» subito prima, prob. causa dell’innesto seguente). Ma nel primo caso la tradizione è concorde, mentre nel secondo la F31 e la Starita si oppongono alla bolognese del 1824, che ha, all’inverso, «considerazioni» e »occorrenza» senza virgola, per cui è facile supporre una contemporanea innovazione. [nov. 2010]

 

  Illustrazione: Frontespizio dell’edizione critica di di Domenico de Robertis, edita da Il Polifilo, Milano 1984. Veramente esemplare, per organicità, razionalità e completezza, la dotta introduzione.

 

©15-01/1998 —> 25.11.2010