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Bibliografia
Autografo

 

 

 

Nota critica – Il testo venne pubblicato, per la prima volta, negli Scritti vari 1906, alle pp. 3-7, che tengono conto di uno solo dei due autografi (AN XX, 24 = R1), entrambi di mano del Ranieri, che della satira ci restano. Da ciò le discordanze con edizioni recenziori, che invece considerano anche il secondo autografo (AN XXIV, 13a = R2, attualmente, come l’altro, alla Biblioteca Nazionale di Napoli). Questo secondo autografo venne scoperto dal Moroncini, Natività, Daniele Fregnani, 1996che l’utilizzò nella sua edizione del 1931, e venne poi rivisto con intelligenza dal grande Leone Ginzburg, nel 1938. Il Flora (1940), e dietro di lui Binni-Ghidetti (1969), faranno un passo indietro, riprendendo, in sostanza, la prima edizione. Il Rigoni (1987 e successive ristampe) si rifà invece al Moroncini, mediato dal Ginzburg, per il quale il secondo autografo risulta essere quello originale, mentre il primo pubblicato potrebbe essere una copia in funzione di un suo progettato inserimento all’interno delle Opere lemonnieriane (forse all’interno dei Canti, forse no: le testimonianze del Ranieri sono, come suo solito, elusive). La recente edizione critica del Gavazzeni 2009 (p 147 ss., curatrice della sezione la sfortunata Elisa Chisci) è tornata all’opinione del Moroncini, che però, come già notava il Ginzburg, aveva contaminato i due testi; cosa che la Gavazzeni invero non fa, in quanto offre scolasticamente a testo una edizione feticisticamente diplomatica di R2, con sorprendenti criteri pre-lachmanniani (se, come sostiene l’editore, R2 fosse veramente descriptum di R1, altro che promuoverlo a testo base! andrebbe sic et simpliciter eliminato) e come già il Moroncini, non riesce a spiegare la tradizione del v. 96, presentando, oltre che numerosi errori a testo, una ricostruzione lacunosa e confusa. Pertanto, pur aderendo di massima alla ricostruzione del Ginzburg, non essendo tutte le sue proposte accettabili, esemplo il testo di mio, fondandomi sul secondo autografo in maniera non pedissequa; si veda la mia nota testuale in calce alla satira per più puntuali dettagli. Chi avesse i polmoni collaudati potrà rivolgersi, con maggior profitto, alla mia edizione critica. Per più ampie notizie storiche sul componimento si rimanda al mio studio, con introduzione, testo, ampio commento, testimonianze antiche e bibliografia essenziale. Segnalo infine la riproduzione dell’autografo (della sola prima pagina di R1), sul facsimile che ne offrì, a suo tempo, il Moroncini.

 

Metro – Capitolo ternario in stile bernesco.

 

 

 

Testo, studio e

commento PDF

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I NUOVI CREDENTI.

 

Ranieri mio, le carte ove l’umana

Vita esprimer tentai, con Salomone

Lei chiamando, qual soglio, acerba e vana,

Spiaccion dal Lavinaio al Chiatamone,

Da Tarsia, da Sant’Elmo insino al Molo,

E spiaccion per Toledo alle persone.

Di Chiaia la Riviera, e quei che il suolo

Impinguan del Mercato, e quei che vanno

Per l’erte vie di San Martino a volo;

Capodimonte, e quei che passan l’anno

In sul Caffè d’Italia, e in breve accesa

D’un concorde voler tutta in mio danno,

S’arma Napoli a gara alla difesa

De’ maccheroni suoi; che a’ maccheroni

Anteposto il morir, troppo le pesa.

E comprender non sa, quando son buoni,

Come per virtù lor non sien felici

Borghi, terre, provincie e nazioni.

Che dirò delle triglie e delle alici?

Qual puoi bramar felicità più vera

Che far d’ostriche scempio infra gli amici?

Sallo Santa Lucia, quando la sera

Poste le mense, al lume delle stelle,

Vede accorrer le genti a schiera a schiera,

E di frutta di mare empier la pelle.

Ma di tutte maggior, piena d’affanno,

Alla vendetta delle cose belle

Sorge la voce di color che sanno,

E che insegnano altrui dentro ai confini

Che il Liri e un doppio mar battendo vanno.

Palpa la coscia, ed i pagati crini

Scompiglia in su la fronte, e con quel fiato

Soave, onde attoscar suole i vicini,

Incontro al dolor mio dal labbro armato

Vibra d’alte sentenze acuti strali

Il valoroso Elpidio; il qual beato

Dell’amor d’una dea che batter l’ali

Vide già dieci lustri, i suoi contenti

A gran ragione omai crede immortali.

Uso già contro il ciel torcere i denti

Finchè piacque alla Francia; indi veduto

Altra moda regnar, mutati i venti,

Alla pietà si volse, e conosciuto

Il ver senz’altre scorte, arse di zelo,

E d’empio a me dà nome e di perduto.

E le giovani donne e l’evangelo

Canta, e le vecchie abbraccia, e la mercede

Di sua molta virtù spera nel cielo.

Pende dal labbro suo con quella fede

Che il bimbo ha nel dottor, levando il muso

Che caprin, per sua grazia, il ciel gli diede,

Galerio, il buon garzon, che ognor deluso

Cercò quel ch’ha di meglio il mondo rio;

Che da Venere il fato avealo escluso.

Per sempre escluso: ed ei contento e pio,

Loda i raggi del dì, loda la sorte

Del gener nostro, e benedice Iddio.

E canta, ed or le sale, ed or la corte

Empiendo d’armonia, suole in tal forma

Dilettando se stesso, altrui dar morte.

Ed oggi del suo duca egli su l’orma

Movendo, incontro a me fulmini elice

Dal casto petto, che da lui s’informa.

Bella Italia, bel mondo, età felice,

Dolce stato mortal! grida tossendo

Un altro, come quei che sogna e dice;

A cui per l’ossa e per le vene orrendo

Veleno andò già sciolto, or va commisto

Con Mercurio ed andrà sempre serpendo.

Questi e molti altri che nimici a Cristo

Furo insin oggi, il mio parlare offende,

Perchè il vivere io chiamo arido e tristo.

E in odio mio fedel tutta si rende

Questa falange, e santi detti scocca

Contra chi Giobbe e Salomon difende.

Racquetatevi, amici. A voi non tocca

Delle umane miserie alcuna parte;

Che misera non è la gente sciocca.

Nè dissi io questo, o se pur dissi, all’arte

Non sempre appieno esce l’intento, e spesso

La penna un poco dal pensier si parte.

Or mia sentenza dichiarando, espresso

Dico, ch’a noia in voi, ch’a doglia alcuna

Non è dagli astri alcun poter concesso.

Non al dolor, perchè alla vostra cuna

Assiste, e poi su l’asinina stampa

Il piè per ogni via pon la fortuna.

E se talor la vostra vita inciampa,

Come ad alcun di voi, d’ogni cordoglio

Il non sentire e il non saper vi scampa.

Noia non puote in voi, ch’a questo scoglio

Rompon l’alme ben nate; a voi tal male

Narrare indarno e non inteso io soglio.

Portici, San Carlin, Villa Reale,

Toledo, e l’arte onde barone è Vito (*),

E quella onde la donna in alto sale,

Pago fanno ad ogni or vostro appetito,

E il cor, che nè gentil cosa, nè rara,

Nè il bel sognò giammai, nè l’infinito.

Voi prodi e forti, a cui la vita è cara,

A cui grava il morir; noi femminette,

Cui la morte è in desio, la vita amara.

Voi saggi, voi felici: anime elette

A goder delle cose: in voi natura

Le intenzioni sue vede perfette.

Degli uomini e del ciel delizia e cura

Sarete sempre, infin che stabilita

Ignoranza e sciocchezza in cor vi dura:

E durerà, mi penso, almeno in vita.

 

 

 

 

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(*) Celebre venditore di sorbetti, che divenuto ricco, comperò una baronia, e fu domandato il barone Vito. | Nota dell’E. [= Antonio Ranieri]

 

 

Nota testuale – Diversamente dal Rigoni, costretto forse da esigenze estetiche della Mondadori, ho preferito eliminare l’interlinea fra i vari terzetti, perché non giustificata dagli idiografi, né dall’ultima prassi leopardiana. Viceversa ho aggiunto punto fermo dopo il titolo, e iniziale in corpo più grande e non rientrata, pure non presenti, in quanto propri dell’ultimo usus scribendi dell’autore (e invero il punto, sotto le cancellature del Ranieri, par proprio d’intravederlo, ed era consuetudine che il Napoletano divideva con l’amico, fino a riproporla perfino nei lontani e famigerati Sette anni di sodalizio). Le letture del Ginzburg da me respinte sono due: al v. 40 a «contra» di R1 preferisco «contro» (R2), che se non ha il conforto dei Canti ha invece quello preponderante dei Paralipomeni; al v. 58 la punteggiatura è la medesima del quasi anaforico v. 47, e quindi non va mutata. Inoltre, mi sono intenzionalmente staccato da R2 al v. 6, ove ho accolto la vulgata congettura «spiaccion» (su «spiaccian», R2 e R1) già degli Scritti vari 1906; al v. 85 ho preferito la lez. di R1 in quanto «perch’alla» mi pare elisione decisamente contraria alla prassi leopardiana (ma è attestata in Paralip. VIII, 1, 3; sempre che non sia altra svista del Ranieri scrivano); infine al v. 86 ho accolto la suggestione del Ginzburg «su l’asinina» per «sull’asinina» (R2 e R1), conforme al costante usus leopardiano.

 

Natività: disegno di Daniele Fregnani (29-04-96 su LC475).

 

 

 

 

© 25-04/2010—> 12.12.2012