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NOTARELLE TESTUALI

I cosiddetti “esperti” perdoneranno il tono divulgativo; i non esperti quello tecnico; il secondo tono si imponeva a fronte dei troppo frequenti dilettantismi che operano sulla rete; il primo perché chiunque, anche chi il Leopardi se lo ricorda solo per la donzelletta o per il passero solitario, ha diritto a sapere che tutto quel che fa capo all’Indice (Notizia, Canti, Frammenti e Note) è, acca-ti-emme-elle escluso, “di mano” dell’autore. Anzi, lo stesso indice può dirsi leopardiano (però con correzioni del Ranieri), se si eccettuano le parentesi quadre, contenuto compreso, dei frammenti 37-39, in realtà anepigrafi.

Ed. critica Peruzzi 1981

Si è seguìta, come detto altrove, l’edizione napoletana del 1835, in modo anche più feticistico di quanto non abbia fatto il Peruzzi nella sua fondamentale edizione. In particolare, si è preferito non rilevare gli spazi di tabulazione ad ogni inizio di canto, accettando il criterio della ed. Starita che lo rimarca solo col primo carattere in neretto e in corpo più grande. Tale scelta è senz’altro discutibile, ma ovvia alle poche incongruenze della ed. Peruzzi, particolarmente sensibili nel caso di X, 1 [1]. In ogni caso, prima di eliminarla, sarebbe interessante conoscere l’uso di Starita nelle altre sue stampe dell’epoca, per vedere se la scelta era di Leopardi - che comunque l’accettò - o dell’editore (aggiungo a posteriori che l’averla ritrovata, quasi mosca bianca, in una recente edizione del Sodalizio di Antonio Ranieri, mi fa pensare che forse non vado lontano dalla verità [2]). Sempre rispetto all’edizione Peruzzi, si è portata anche maggior cura nella trascrizione dei titoli, a costo di riprodurre le disomogeneità dell’edizione napoletana. In particolare, si è ovviato allo stile “ombreggiato” della Starita con l’uso del colore (rosso o rossobruno). Con un rimarchevole arbitrio su La ginestra, che per mia fortuna non può essere confutato. Ma nemmeno confermato [3].

Si è rigorosamente osservato l’usus scribendi leopardiano A parte la costante della maiuscola in ogni capoverso, è degna di nota l’accentazione, decisamente diversa dall’attuale: in presenza di autografi e stampe avallate dall’Autore si è riprodotta tal quale la sua norma, non priva di una sua sincronica coerenza. Quindi non rimane altro che accettare i vari accenti gravi al posto degli acuti, come “perchè”, “nè” ec. e, peggio ancora, i “vóti” per “vuoti”, “se” per “sé” ec. Quanto all’interpunzione, si è cercato di non dimenticare per strada nemmeno una virgola, ricordando che Leopardi diceva di essere “sofistichissimo” al riguardo. Devo aggiungere che è scelta condivisa da tutti gli editori (anche a prescindere dal grande Contini)? Del resto, in una tradizione come quella leopardiana, è questo il campo in cui i filologi, spesso, si devono cimentare. Per rendere l’idea, una delle mie tante sviste che ho corretto è stata proprio il punto fermo dopo “Note”, nell’Indice. Una curtisiana “quisquilia”? errore gravissimo invece, perché, mentre chiunque saprebbe correggere una “infinità” con “immensità” ne L’infinito, questa è proprio la tipologia d’errore che può trascinarsi per cent’anni.

Ai lettori più agguerriti segnalo infine il link a fondo pagina, ove troveranno le ragioni delle mie scelte personali nei luoghi di più discussa costituzione del testo. E si vorrà perdonare al curatore, che a costo di errori e imprecisioni ha mirato unicamente a diffondere sulla rete i Canti del nostro autore dell’Ottocento più studiato nel mondo: il bicentenario della nascita non tollerava indugi. E, a distanza di un anno e mezzo dalla prima edizione (15-01-98), posso orgogliosamente dire di aver mantenuto l’impegno della correzione degli errata. Qua e là qualche imprecisione sarà rimasta, ma probabilmente più legata a errori d’impaginazione o a idiosincrasie da html che non a vere e proprie sviste di testo. Almeno, oso sperarlo.

 

 

1 – Se il Peruzzi ha dappertutto sostituito la rubrica iniziale con la rientranza del capoverso, in X, 1 non ha potuto farlo, perché erano i versi seguenti che dovevano rientrare. Magari fossero tutti così gli “errori”; però rimane il fatto che in questo caso non ha segnalato la rubrica. [§]

2 – A posteriori devo dire che gli usi tipografici dello Starita, es. in una stampa del Tasso del 1835, sono effettivamente identici. Viceversa l'ed. del Sodalizio cui alludevo nel testo (1995), non rispetta affatto gli usi della princeps del Ranieri del 1880, per cui la mia riflessione era fuori luogo. [2010] [§]

3 – La Starita adopera l’ombreggiato in maniera sistematica per le Operette, mentre nei Canti lo usa solo per I, II, VI, IX, X. Dubito che nessuno possa mai scoprirvi, se anche vi fosse, un qualche senso recondito. Ma di puro intuito direi che La ginestra, che è posteriore alla Starita, non sarebbe stata ombreggiata. [§]

 

 

 

Illustrazione: Sovracoperta della splendida edizione critica di Emilio Peruzzi, per i tipi di Rizzoli editore, Milano 1981. Edizione veramente indispensabile, senza la quale questa edizione elettronica non sarebbe mai nata.

 

15-01-98—>10-08-99—> 05.11.2010