Home | | Leopardi | | Varie
Testo
Autografo
Abbozzo
Bibliografia

 

Nello strazio di una giovane donna morta col suo portato…

Introduzione

 

Sic. Il primo problema che questa lirica pone è proprio il titolo. Un editore critico, che veramente sia tale, deve domandarsi, innanzitutto, sotto che titolo catalogare il suo lavoro. Nella fattispecie il problema è difficile, se non impossibile. Ci rimane un autografo (AN 13, 24) che recita (tralascio le versioni intermedie in quanto non ne è chiara la successione: cfr. la mia riproduzione dello stesso) Nella morte di una donna fatta trucidare col suo portato per mano ed arte di un chirurgo. Che è il titolo che solitamente si dà alla composizione, ma astraendo dall’Epistolario leopardiano, che ci attesta che il titolo spedito al Brighenti per la progettata stampa era di tutt’altro tenore. Ora, o AN, per lo meno per quanto riguarda il titolo “definitivo” è anteriore a, chiamiamolo AB (A<utografo> B<righenti>), e in questo caso il titolo vulgato non ha ragione di essere; oppure è ad esso posteriore. Quindi, se si accetta la prima ipotesi, che, date le condizioni di autografo, sia pur avanzato, di lavoro, e perciò intermedio, di AN, sembra più probabile, il titolo sotto cui conosciamo il componimento non pare, a ragione, accettabile. Ciò non deve turbarci più di tanto; non chiamiamo forse Divina Commedia, secondo una suggestione, se ben ricordo, boccacciana, quella che andrebbe chiamata Comedìa (nemmeno il grande Petrocchi ha avuto il coraggio di modificarne grafia e accento!).

Al solito, basta capirsi. Ma anche, pur ammettendo ripensamenti posteriori di Giacomo, occorre rilevare che questi ripensamenti non avrebbero alcun carattere di definitività: si è criticata l’edizione critica dei Canti del grande De Robertis perché prendeva a testo base la prima stampa delle opere leopardiane, invece che l’ultima versione. Critica fondata, in quanto non si può astrarre dall’ed. Piatti o dalla Starita. Ma nel nostro caso, l’unica edizione veramente autorizzata dal poeta è, per l’appunto AB. Eventuali, ulteriori correzioni, non avrebbero carattere alcuno di “ufficialità”: da intendersi “questo testo mi sta bene e mi soddisfa, e quindi lo pubblico”. L’unica versione che abbia questo carattere è per l’appunto AB. Ergo, il suo testo (o quel poco che l’editore può ricostruirne, in quanto, purtroppo, detto testo non ci è pervenuto) è quello che l’editore critico deve ricostruire.

Quale sia effettivamente questo titolo noi possiamo in parte ricostruire. Nella lettera del 22 aprile 1820 (Brioschi-Landi n. 297 = Moroncini 269) il Brighenti allude al canzone denominandola «Donna morta col suo portato» (1); cui il 28 aprile Leopardi replicherà riferendosi al componimento con l’espressione «nello strazio di una giovane» (BL , n. 299, M 271 = F<lora> 150). Per cui, con un semplice lavoro di collage, mi sentirei di sostenere che il titolo che ho dato sopra sia quello giusto. Cioè: Nello strazio di una giovane donna morta [fatta trucidare] col suo portato <ecc.?> con un prudente agnosticismo sull’eventuale seguito (2).

Un altro dato da cui l’editore critico non può esimersi è la ricostruzione, pagina per pagina, del manoscritto inviato al Brighenti. E qui, grazie al carteggio intercorso, le cose sono sì aggrovigliate, ma più facili: Leopardi aveva inviato un manoscritto di 44 pagine complessive (lettera di Brighenti a L., 10 febbraio 1820, BL n. 278 = M 250): «come Ella ha fatto benissimo nel manoscritto, il numero delle pagine a stampa sarà in punto quello del manoscritto medesimo, cioè 44»). Sappiamo inoltre, e basterebbe l’analogia con le altre stampe del periodo, che ad ogni strofa corrispondeva una pagina. L’ultima delle tre liriche era quella Per una donna malata, in quanto il Brighenti segnalò al Leopardi l’ipometria del v. 121, collocandola nelle ultime pagine del manoscritto, in una lettera dei primi di marzo (BL n. 285 = M 258): «pagina 40 del di Lei manoscritto, strofa decima, verso 4, si legge così: “Tutti tuoi pari andran fra morti”. Questo verso mancherebbe di misura». E che la dedica si collocava nelle due ultime pagine, perché correggendo la svista, imputabile a un banale errore di copia in quanto l’autografo napoletano risulta corretto, L. così rispondeva al Brighenti il 17 marzo (BL. n. 289 = M 261 = F<lora> 145): «L’errore corso nel mio manoscritto pag. 40 di cui Ella mi favorisce d’avvertirmi, va corretto così: | Tutti tuoi pari andran tosto fra’ morti. | Desidererei ancora che a pag. 43, dove si legge, non voglio che queste Canzoni sieno intitolate ad altri che a voi; Ella si compiacesse di scrivere in vece così, voglio che questa Canzone vi sia dedicata in maniera anche più speciale» (3). Quanto infine alla successione delle prime due, Leopardi ci dà notizia del loro ordine nella lettera del 18 aprile 1820 (n. 299 BL, 271 M, 150 F), quando, rispondendo alle critiche di Monaldo sull’opportunità di stampare la canzone Sopra una donna morta col suo portato, così ne scrive al Brighenti: «Mio padre non ha veduto se non il titolo della prima inedita, come lo avea veduto per accidente ancor qui, mentre io la scriveva, un anno fa; e s’immaginò subito mille sozzure nell’esecuzione, e mille sconvenienze del soggetto, che possono venire in mente a chi non mancando di molto ingegno e sufficiente lettura, non ha però nessuna idea del mondo letterario. Il titolo della seconda inedita si è trovato fortunatamente innocentissimo. Si tratta di un Monsignore. Ma mio padre non s’immagina che vi sia qualcuno che da tutti i soggetti sa trarre occasione di parlar di quello che più gl’importa, e non sospetta punto che sotto quel titolo si nasconda una Canzone piena di orribile fanatismo».

Da quanto detto, con un semplice calcolo aritmetico, la disposizione del manoscritto non può essere che la seguente:

 

 
Pagg.
Progr.
Frontespizio
2
1-2
Nello strazio di una giovane...    
Occhietto
2
3-4
Testo ( 10 strofe)
10
5-14
Ad Angelo Mai    
Occhietto
2
15-16
Testo ( 12 strofe)
12
17-28
Per donna malata...    
Occhietto
2
29-30
Testo ( 12 strofe)
12
31-42
Dedica
2
43-44
     
TOT.
44
 

 

Rimane il dubbio che, nella prima canzone, Leopardi possa aver mutato il dettato dell’occhietto (sc. Nello strazio ecc.), che egli forse chiama «argomento» (cfr. lettera 25 febbraio 1820 BL n. 284 = M 256 = F 141 «Ella giudicherà, se in caso che si stampino tutte le cinque canzoni insieme, sia bene di porre nel frontispizio gli argomenti di ciascheduna, come io avea fatto ne’ due libretti separati, ovvero semplicemente il titolo di Canzoni ec.») senza mutare il titolo. Cosa improbabile se consideriamo la stampa delle prime due Canzoni (= R18) ove esso è perfettamente identico, e nel «frontispizio» e nel titolo immediatamente precedente la prima strofe. Ancor più calzante il raffronto con B26 (sc. la stampa bolognese dei Versi 1826, ove occhietti e titoli dei componimenti sostanzialmente coincidono (Sonetti di ser Pecora, Epistola, Guerra dei topi e delle rane, Volgarizzamento di Simonide). Per cui tenderei a credere che il nuovo titolo si ritrovasse altresì identico, e nell’occhietto e a inizio componimento dell’autografo inviato al Brighenti; e non corretto, ma non so addurne le ragioni, in AN; se non che la correzione si sarebbe imposta in caso di nuovo tentativo di pubblicazione – cfr. l’intitolazione dei Sonetti in persona di ser Pecora, in origine Ciarlata di ser Besso Beccaio, ma seguita da numerose varianti – ma di questo ulteriore tentativo, nella fattispecie, non abbiamo traccia, mentre, se mai abbiamo traccia, dal silenzio presso che assoluto dell’autore, del progressivo disinteresse per questa lirica.

 

Ciò premesso rimando, per le notizie storiche di questa sfortunata edizione, alle notizie che ne ho dato nell’introduzione a A una donna inferma. Qui bisognerà aggiungere, seguendo il Mestica 1901, che la lirica prende lo spunto da un fatto realmente accaduto nel gennaio del 1819 a Pesaro. Bisogna altresì aggiungere che Leopardi, per la sua ipersensibilità e per le sue convinzioni forse in parte ancora monaldiane, probabilmente esagerò le responsabilità del «corruttore»: probabilmente si trattava “solo” di un tentato aborto di convenienza riuscito male. E il presunto mutamento del titolo di cui ho discorso ampiamente sopra, potrebbe significare che, più a freddo, Giacomo si fosse accorto da solo dell’esagerazione, mutando il trucidata con un più neutro morta. Rimando al Mestica per ulteriori notizie in proposito, limitandomi a ricordare che la donna in questione non era d’infimo ceto (a costo di crearmi indesiderate antipatie, rammento che occorrerà Loris Fortuna per garantire la tutela legale e sociale al dramma di concepimenti indesiderati da parte di donne di estrazione non borghese), e che del fatto, c’è da immaginarselo, si parlò a lungo. E ciò è rilevante per il manifesto interesse di Giacomo, in questo periodo, per l’attualità, interesse che in seguito, almeno per quanto concerne la sua trasposizione poetica, verrà a scemare.

La prima edizione a stampa si avrà negli Scritti vari 1906. La prima edizione critica è quella del Moroncini, nel 1931. È del 2009 l’edizione del Gavazzeni, il cui testo presenta alcune infelici mende, che con un pizzico di cura in più avrebbero potuto essere evitate.

Un’ultima parola sulla qualità della lirica. A una prima lettura anch’io, come molti critici, sono rimasto un po’ sconcertato, e ho pensato che il giudizio del Brighenti (lett. 22 aprile 1820 BL 297 = M 269: «(a parlarle con la libertà che inspira l’affetto, e la riverenza che le professo) non credo che questa sia quella delle tre canzoni, che superi le bellezze delle sorelle», a prescindere da quanto di strumentale esso avesse in quella lettera e in quell’occasione, in cui Brighenti doveva conciliare il veto di Monaldo con le aspirazioni libertarie del figlio, fosse pur tuttavia sensato. E sensato, a dir il vero, lo era, nel senso che per la materia la canzone non poteva certo dirsi, come diremmo oggi, “commerciale”. Il che era poi quello che, in una lettera successiva confermerà lo stesso Brighenti (1 giugno 1820, BL n. 305 = M 277: «le ripeto che io nè sono, nè sogno di riguardarmi letterato, ma pretendo di avere fatta molta pratica a giudicare ciò che piace o non piace, e ciò che sarà accolto o trascurato»), che con modestia in parte eccessiva non discuteva tanto il valore della lirica, ma il suo andar incontro o meno ai gusti del pubblico cui era indirizzata. In realtà, rileggendola e rimeditandola, è indubbio vi si ritrovino esagerazioni e gonfiaggini, ma vi si ritrova anche vera poesia, non indegna del Leopardi che tutti conosciamo. Quel qualcosa di sconcertante, e di non perfettamente omogeneo che è indubbiamente presente, è dato dalla modernità dell’argomento, certo non in linea con i dettami coevi del classicismo, e allo stesso tempo non prettamente “romantici”, in quanto immersi in una struttura e in una visione comunque arcadico-neoclassica, che risente dei pregiudizi dell’ambiente in cui il giovane Leopardi si trovava a dover convivere. Per cui la lirica, che rimane comunque cospicuo esempio delle sperimentazioni poetiche del periodo, attente alla realtà circostante e alla cronaca, con volontà implicita di un agire attivo sul presente, forse avrebbe meritato di essere rivista e riconsiderata dal suo autore. Se ciò non è avvenuto, probabilmente si deve al fatto che Leopardi, più maturo più esperto più disilluso degli uomini, dei loro errori e delle loro sventure, si è accorto per tempo del peccato originale che la gioventù porta sempre con sé: ovvero il veder bianco o nero, e il veder grigio solo sui libri. Ma ormai, egli viveva sotto il segno della luna, e il suo orizzonte poetico si era smisuratamente ampliato.

 

 

1 – Da notare che anche altrove il Brighenti allude alle tre canzoni per “argomento”, e non per effettivo titolo, e cioè in una lettera a Monaldo (29 marzo 1820, in Lettere inedite 1888, p. 153): «Credo avrà Ella veduto le tre Canzoni inedite e non glie ne parlo. Sono esse = All’Ab. Maj = Sopra una donna morta col suo portato = Sopra una Donna poi guarita. = Ciò a sua regola»: L’ordine delle tre inedite, contraddetto inequivocabilmente, come si vedrà, da Leopardi, era forse una sorta di inconscia captatio benevolentiae da parte del Brighenti, offrendo a Monaldo un «Monsignore» al primo posto . Nella lettera del 22 aprile 1820, sempre al conte Monaldo (Lettere inedite, p. 186) il Brighenti abbrevierà ancora: «io sarei d’avviso che l’autore escludesse quella della Donna col suo portato».

2 – Ovvio però che, se poteva conservarsi il «per mano ed arte di un chirurgo», quel «dal corruttore» veniva, non solo grammaticamente, a cadere. E ciò poteva giustificarsi, in decorso di tempo, col fatto che questi, per il silenzio, connivente o meno, del chirurgo in questione, non venne legalmente incriminato di alcun che. Per cui non era opportuno mantenere fin nel titolo un atto d’accusa verso un personaggio forse discutibile, ma non perseguito penalmente, e quindi potenzialmente “innocente”. Non rilevanti, invece, i ricordi di Carlo Leopardi (in Viani 1878, p. xliii), che allude due volte, nel 1848 e nel 1870, alla canzone Sullo strazio di una giovane, ma dopo averne letto il titolo datovi da Giacomo nella cit. lettera del 28 aprile nell'Epistolario del Viani.

3 – Frase che appunto si ritrova nella Dedica. Si noti la precisione della citazione: se Leopardi cita le pagg. 40, 43 del manoscritto in mano al Brighenti, vien da pensare che anch’egli ne avesse una copia in netto. D’altronde, come possiamo ricostruire noi il manoscritto, tanto più lo poteva lui che l’aveva redatto, anche in mancanza di tal copia. Per completezza va aggiunto che abbiamo notizia di un’ulteriore copia di entrambe le canzoni “funerarie”, fatta redigere dal Brighenti per spedirla al Giordani (cfr. lettera del Brighenti a L. del 13 settembre 1820, BL n. 333 = M 306); ma anche di questa si son perse le tracce.

 

 

© 09-05/2010—> 24.06.2010