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“Falsi” ranieriani e “Misteri” di Castellamare

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A quanto sembra il web, nella sua dispersione globale, vuol far certi della sentenza di Umberto Eco: che parlava – eufemizzo – di legioni di insipienti cui è stato offerto un palco e diritto di parola. Purtroppo, per noi, diventa sempre piú difficile sceverare il grano dal loglio, tanto piú a fronte di pagine accattivanti, ma criticamente fragili, che a un incompetente possano anche sembrare fondate, ma che, alla prova dei fatti, ovvero a fronte di una concreta informazione e documentazione, risultano drammaticamente e sgradevolmente inconsistenti.

È il caso della pagina:

 

Ma dove e come morì Giacomo Leopardi?

 

ove lodiamo la dialettica del redattore, che però non menziona né Moroncini, né Porena, vale a dire gli unici eruditi che ne abbiano disquisito con adeguata serietà e competenza, e che contraddicono – con ragion di causa – le sue tesi naïf. Peggio, metà dello scritto è dedicato a dimostrare la falsità della lettera di Ranieri a Monaldo, del 13 giugno 1837 (che, si noti, è la vigilia della morte di Leopardi), quando basta fare un salto alla Marciana di Venezia, per ammirare l’autografo (ivi pervenuto tramite intrallazzi, mediatori forse Teresa Teja, sicuramente l’ab. Della Vecchia, ad ogni modo ben noti agli eruditi) ovviamente ignoto all’autore: un codice con segnatura It. X, 371 (=10548), cc. 19r-20v.

Ciò taglia la testa al toro, e non perdiamo altro tempo a confutare l’autocompiacienza del blogger, che probabilmente, in buona fede, ha presunto aver fatto la scoperta del secolo. Dobbiamo invece segnalare un’altra, piú recente e macroscopica “bufala”, che persino il sito autorevole de «La Repubblica» ha autorizzato, se sua è la pagina:

 

L'ultimo mistero sulla morte di Leopardi

 

 

Che Leopardi morisse a Castellamare, è di per sé gia escluso dalla lettera summenzionata del 13 giugno, scritta da Napoli. Senza contare che Leo era tornato a Napoli, da Torre del Greco, a metà febbraio, e sconsigliatissimi erano, in tempi di colera, gli spostamenti, tanto piú che Giacomo, il 15 maggio, aveva sofferto una gravissima crisi, che presto lo porterà alla tomba.

Ma se su ciò potremmo sorvolare, non si può farlo con Angelo Acampora, studioso o storico, come vien presentato, che viene deliziosamente a narrare d’aver scoperto una lettera del padre gesuita Francesco Scarpa al padre Carlo Maria Curci, e che racconta come Giacomo, in limine vitae, si fosse convertito, si confessasse, dimorasse all’Ospedale degli Incurabili, frequentasse Castellamare, morisse di colera ecc. ecc.

Rilevando en passant che questa lettera, «ritrovata» da Acampora, in realtà era arcinota poco meno di 180 anni or sono, e si trattava, allora e oggi, se non di un lapalissiano e plateale falso, banalmente di un errore di persona; di fatto venne allora smentita da Antonio Ranieri, Giuseppe Giusti, Vincenzo Gioberti, che ne dimostrò inequivocabilmente la totale incoerenza e insussistenza, Ma soprattutto dalla stessa famiglia Leopardi, che proprio non vi si riconosceva, e assolutamente non riconosceva il personaggio dipinto da Scarpa, anche se avrebbe fatto carte false, si fa per dire, per assicurare al suo congiunto un posticino in paradiso.

Ad ogni modo, inverosimili le conclusioni: ipotizza che Leopardi morì a Castellammare, in carrozza, forse di ritorno da una delle sue visite alle Terme. E che, per evitare venisse sepolto in una fossa comune, Ranieri riportò a Napoli già morto, nella casa di vico Pero 2, quartiere Stella, dove fu dichiarato tale.

OK, se desideriamo dilettarci di fantastoria, dove tutto possiamo immaginare, tutto è possibile. Sta alla deontologia dello studioso distinguere realtà storica e romanzo, e soprattutto, non contrabbandare questo per quella.

 

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© 29-05/2011 —> 30.05.2021

Angelo “quixote” Fregnani