Ricordo di Emilio PeruzziEra una calda, ma non afosa, giornata estiva, come tante altre. Abitavo ancora a Forlí, e la vita procedeva nella solita e bicorde routine, equamente ripartita fra musica e studi letterari. Dopo pranzo, senza averlo minimamente ideato e programmato, ecco che mi preparo spazzolino, dentifricio e una valigetta con minimi effetti personali, poi mi metto al volante della cara e fedele fiestina, color champagne, e mi sollazzo con un bel viaggetto in direzione sud. Arrivato a destinazione cerco subito un telefono e chiamo mia moglie: «Ciao. Sono a Recanati, non sarò a casa per cena. Penso mi tratterrò anche domani». Non credo l’abbia presa troppo bene. Ma poi, abituata alle mie “fughe” – che a dir il vero, sono aduse restringersi alla scrivania del mio studio –, ha masticato e sopportato con classe, lieta quando ha ricevuto un paio di cartoline che le hanno confermato l’anodina destinazione della scappatella. Era un banale lunedí, se non che giorno dedicato ai Santissimi apostoli Pietro e Paolo; e in paese era festa. Ne avevano parlato, forse con distratta sintesi, anche al telegiornale; pare che duecento anni prima, alle 15 del pomeriggio (non come dicono quasi tutti, alle 19), fosse nato, in una casa nobiliare di periferia, un tal Giacomo Leopardi. Faccio a tempo ad assistere in Comune a uno spizzico della noiosa celebrazione, poi mi ritrovo a cena, al ristorante dell’Hotel «La Ginestra», dove avrei dormito la notte, ascoltando non senza qualche emozione, ogni tanto, il rintocco della torre del borgo. Ed ecco, mentre sto cenando, ti arriva un distinto e maturo signore, di media statura: magro, elegantemente vestito; accompagnato da una donna, e forse da altri, non ricordo. Lo accolsero due russi, che m’ero già accorto, parlavano benissimo l’italiano; ma lui ti risponde subito in russo, il che sul momento mi lasciò – io che di slavo conosco due parole in croce – esterrefatto. Vabbe’, capii dopo, quando ne conobbi il nome, che era un glottologo, ma lì per lì rimasi a bocca aperta. Era Emilio Peruzzi, accompagnato da Fiorenza Ceragioli, presenti a Recanati per la celebrazione del bicentenario della nascita di Giacomo. La sua conversazione pubblica era dotta, ma non ostentata. Sapeva trovare mille riferimenti eleganti, come nei suoi Studi leopardiani (a volte troppo eleganti… e un po’ pindarici). Dopo cena mi presentai e parlai un po’ con lui, da solo a solo. Era persona educata e disponibile: ricordo che discutemmo del suo amore per Leopardi, che lo faceva spesso esulare dai prediletti studi linguistici, e della sua edizione critica dei Canti, di cui usciva proprio in quell’anno una ristampa aggiornata. Riceveva le lodi con modestia non ostentata; e quando gli dissi della sua edizione del Consalvo, menzionando la sua congettura del capoverso aggiunto al v. 35, schermendosi rispose che non era che quel poco che ogni critico aggiunge a chi l’ha preceduto. Più tardi, dopo le recite nella Piazzuola del Sabato del villaggio, ci rincontrammo casualmente – c’era anche la Ceragioli, della cui cortesia pure conservo un buon ricordo – sulla via che dava all’albergo, ed esordii con una vaga reminiscenza letteraria: — Mi scusi. Non vorrei tediarla, come quel seccatore nelle Satire di Orazio. — Al che puntualissimamente rispose: — Nessun disturbo. E poi qui non siamo sulla via Sacra. — Citazione estemporanea o allusione ironica? Quella via, calcata quasi duecento anni prima da Giacomo, sacra lo era per entrambi. Sta di fatto che giunti al suo albergo ci sedemmo e conversammo un altro po’, poi si alzò, scambiò qualche parola con qualcuno dei presenti, e se ne andò a riposare. Per quel poco che l’ho frequentato, persona fine e squisita; prima di congedarsi, mi promise perfino una paginetta di commento per il mio sito internet, di cui confessava, allora, una emerita ignoranza; dovevo scrivergli alla Scuola Normale Superiore di Pisa, ma io, semo (la mancanza della -c- ci sta tutta), non l’ho più contattato. Magari oggi, via mail, sarebbe diverso…
Emilio Peruzzi (Firenze 1924 – ivi 2009), professore emerito di lingue dell'Italia antica e di glottologia nella Scuola Normale Superiore di Pisa, si era laureato nel 1947 in giurisprudenza, ma già si dedicava ai suoi prediletti studi linguistici, per i quali ha scritto pagine basilari sulla civiltà italica antica, spaziando dal miceneo, al latino, al greco. Ha scritto pagine fondamentali di filologia leopardiana, quali l’edizione critica dei Canti (1981, ristampata con aggiornamenti nel 1998), i due volumi di Studi leopardiani (1979 e 1987) e curato l’edizione fotografica dello Zibaldone (1989-1994, voll. 10).
Per una biografia più dettagliata, in rete: http://www.adnkronos.com/IGN/News/Cultura/index.php?id=3.0.4020515209
Per una bibliografia degli studi linguistici antichi: |
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