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Intro
Testo
Dedica
Bibliografia

 

Abbozzi

 

1. A una fanciulla.

2. Per una donna malata di malattia lunga e mortale.

 

 

La prima edizione di entrambi gli abbozzi, che van fatti risalire ai primi mesi del 1819, si ebbe con gli Scritti vari inediti del 1906. Testo secondo il Flora, che non presenta letture allotrie rispetto all’autografo. Se ne dà, correzioni autografe escluse, un’edizione in certa misura diplomatica (quindi niente titoli, che nell’originale sono assenti).

Il primo abbozzo è sicuramente antecedente al secondo, in quanto, trovandosi entrambi nello stesso foglietto (AN XV, 14, 4), vi occupa, a partire dall’inizio, circa i due terzi di quel che chiamerò recto, mentre nel verso è contenuto quasi tutto il secondo abbozzo; ma poi, venuto a mancare lo spazio Leopardi terminò questo secondo abbozzo in calce al recto, cioè nella parte lasciata in bianco dal primo, e che quindi, per forza di cose, era preesistente (forse non completamente: la parte finale, da «Non temer di me» in poi, è scritta con grafia più minuta che suggerirebbe comunque uno stacco temporale con quanto la precede). Poiché le consonanze con la canzone Per donna malata sono incontestabili, ma della malattia non si fa cenno, vien da pensare che la giovane sia la stessa del secondo abbozzo, prima di ammalarsi gravemente (e Leopardi, che se ne mostrerà molto turbato, certo ne sarà stato fortemente attratto anche prima della malattia). Quindi ritengo non sia arbitrario, contrariamente alla prassi dei precedenti editori, presentare i due abbozzi insieme e collegati intimamente alla stessa lirica, pur nell’ovvia diversità della cronologia – comunque prossima – e dell’occasione esteriore. Quanto al secondo abbozzo, più del primo esso è utile, per le più numerose consonanze lessicali e tematiche, a comprendere meglio la lirica che ne sarebbe derivata.

 

[Abbozzo I]

 

A una fanciulla. Deh non sii tanto di tua bella faccia Avara o fanciulla mia ec. passo e ripasso avanti la porta della tua casa ove solevi stare e non ti trovo mai ec. oh perchè? certo non sai ch’io ti ci desidero ec. tu sei ancora innocente oh cara ec. lo sarai sempre? ahi ahi ch’io non lo credo ec. Oimè tanta beltà diverrà colpevole e trista per lo scellerato mondo mentre ora nella giovinezza è così candida ec. Oh padre padre, (a Dio) salvala ec. ch’è tua fattura ec. Ahimè tu non ti curi di me nè sai niente, nè io te ne dirò mai niente. Oh se vedessi ec. che core è il mio. È un core raro, o mia cara, ardente ec. Non temer di me. Oh se sapessi come ti rispetto ec. Dimmi se sei virtuosa, benefica compassionevole, innocente. Ah se sei lasciami ch’io mi ti prostri, santa cosa, a baciarti la punta de’ calzari. Esortazione alla virtù per cagione della sua bellezza.

 

[Abbozzo II]

 

Per una donna malata di malattia lunga e mortale. Io sapeva bene che beltà non vale ec. nè giovinezza contro la morte, ma ogni volta che ne vedo una prova non me ne dò pace. ec. Ora dunque tocca a te? ec. poverella poverella, oh Dio consolati, non morrai, non è possibile, morrei anch’io ec. tanto bella, tanto candida e buona, tanto giovane ha da morire? Che è quel tuo viso così languidamente afflitto che par dire sono una sventurata, merito compassione, compatitemi se volete ec. Ahi ahi a chi mi porta triste nuove di lei che pur non m’appartiene cerco di sofisticare di patteggiare per farle men cattive, ma inesorabili combattono ogni mio argomento e mi dimostrano che quelle son pessime e non c’è speranza. (1) ec. Ma non possiamo far niente per lei? per carità, voglio andar io, veder s’è possibile, consultiamo i fisici, qualche rimedio. Niente. poveri mortali contro la morte nè nostra nè altrui non possiamo niente. Ed io ti vedrò morire o sfortunata struggendomi e stendendo le braccia e pregando tutti i numi, e affannandomi invano ch’io non posso non posso nulla. Dunque morrai o cara? sì: io mi dispero. Almeno ch’io la consoli. Cara mia confortati. Oimè sei vissuta innocente ec. tutto ti può far la fortuna ma non toglierti la virtù della tua vita: oh non piangere se mai… anch’io son giovane e ti verrò dietro tosto tosto, e poi la vita è già tanto breve per tutti. Oimè tu pure saresti stata capace di peccato, anch’io, io che ec. tutti, ora muori innocente.

 

 

 

 

1 – Il punto fermo dopo «speranza», non rilevato dagli editori precedenti l’ed Gavazzeni, è effettivamente nell’autografo. Vero è che precede immediatamente una cancellatura molto spessa. Ma solitamente esso va ritenuto espunto, ove vada espunto,  ove cadesse dopo la cassatura, non prima. E in questo stesso documento «ec.» ricorre altre due volte preceduto da segno di interpunzione.

 

 

 

© 09-05/2010—> 07.11.2010