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Bibliografia

 

Per una donna inferma (malata?) di malattia lunga e mortale

Introduzione

 

Si offre di questo testo leopardiano un’edizione provvisoria. Non in quanto redatto in maniera approssimata: anzi esso è stato attentamente controllato, con a fronte le edizioni Flora e Rigoni, nonché la recente edizione edita dalla Crusca (e allegata riproduzione dell’autografo). Di più, confrontato anche con l’ed. in rete della «Biblioteca Italiana», risalente alla «Lexis»; che in questo caso contiene meno errori del solito. Sarei invero più preciso e perentorio, ma la tradizione di questa canzone “funebre”, non è, a tutt’oggi, chiara, per lo meno per quanto riguarda la ricostruzione diacronica delle varianti: l’ed. Gavazzeni (sc. la Crusca) da questo punto di vista, ha fatto un buon lavoro, ma presenta la pecca non irrilevante di aver astratto  dall’apografo di Paolina Leopardi, che rappresenta uno stadio intermedio del testo, con il pregio aggiunto di evidenziare, in un dato momento, un testo “fisso” che non può essere ignorato. E in effetti la Gavazzeni alla fin fine non offre affatto, in questo caso, una edizione critica stricto sensu, ma piuttosto un’edizione diplomatica, per altro in quanto tale discretamente curata e con pochi errori (1), dell’autografo napoletano (AN XIII, 23).

 

Le mie perplessità, in effetti, nascono per una questione di metodo; l’autografo napoletano si presenta tutto fuor che definitivo; oltretutto sembra contenere interventi dell’autore redatti in un arco di tempo piuttosto ampio, per cui risulta difficile, all’editore, offrire un testo critico corretto. Lo stesso titolo è in discussione: l’abbozzo ha malata, l’autografo spedito al Brighenti aveva probabilmente malata, l’apografo di Paolina ha malata, il Supplemento generale a tutte le mie carte, felicemente datato 1822-23, all’epoca del soggiorno romano, dal Peruzzi 1987 ha malata. Chi accetta inferma, per capirci in due parole, forse si comporta come chi volesse mutare il titolo alla Gerusalemme liberata rifacendosi alla Conquistata (2).

 

Per chiarire ulteriormente le mie impressioni un’edizione critica seria dovrebbe render ragione, grossomodo, di queste fasi:

 

1 – Abbozzo.

2 – Testo originale dell’autografo.

3 – Correzioni sullo stesso.

4 – Testo di Paolina.

5 – Ulteriori correzioni.

6 – Valutazione del Supplemento generale a tutte le mie carte.

 

Il tutto, ovviamente, complicato dalla compresenza di penne e inchiostro diversi. Nonché dal compito non facile di stabilire a quale fase vada ascritto l’autografo spedito al Brighenti per la stampa, che non ci è, purtroppo, pervenuto. Come si può immaginare, compito tutt’altro che facile.

 

Ciò premesso – e se avrò tempo e voglia di approfondire la questione tornerò sul discorso – due parole sul componimento. Esso, come la canzone Nella morte di una donna fatta trucidare ecc., cui è strettamente legato, parrebbe risalire ai primi mesi del 1819, secondo una testimonianza dello stesso Leopardi, che, in previsione della progettata stampa bolognese che poi si ridusse alla sola della canzone Ad Angelo Mai, così ne scriveva al Giordani il 20 marzo 1820: « Delle Canzoni di cui mi domandi, la prima e l’ultima sono scritte un anno addietro», per cui Giovanni Mestica, nel 1901 le faceva risalire entrambe, con probabilità non remota, al marzo-aprile dell’anno precedente. Si deve al Mestica anche la probabile identificazione della donna in questione con Serafina Basvecchi, giovine di un certo ceto, imparentata col poeta, e dalla quale il poeta sembra fosse non poco attratto. Come che sia la malata si riprese, tanto che Leopardi aggiunse, nella progettata stampa, una dedica a lei vivente. Il resto è noto: per il veto di Monaldo, la stampa, che avrebbe dovuto contenere, per una non infelice idea del Brighenti cui Leopardi si era rivolto, anche le prime due canzoni già stampate (ovvero canti I e II) non ebbe luogo, e si stampò, dopo qualche riluttanza, la sola canzone al Mai. Rimando al grande De Robertis (ed. critica dei Canti, 1984) chi volesse saperne di più sulla vicenda, ché davvero egli ne tratta in maniera splendida. Mi limito invece a ricordare la prima edizione, sulla base dell’apografo di Paolina, edita da Alessandro D’Ancona nel 1871 in occasione delle nozze Perugia-Levi (Canzone di Giacomo Leopardi, seguita da lettere di Ugo Foscolo e Pellegrino Rossi, Pisa, Nistri, 1871), mentre la prima edizione che tenne conto dell’autografo napoletano fu quella del Mestica. Da segnalare, infine, l’edizione critica del Moroncini (1931).

 

Sul piano estetico, la canzone non è certo una delle poesie migliori di Leopardi, nemmeno del Leopardi di quegl’anni che, anche a prescindere dall’Infinito, scriveva già cose di maggior spessore. Lo stesso lessico, fuori non solo dalla tradizione petrarchesca, ma anche da quella prettamente leopardiana, lascia non poco a desiderare. Pure è testimonianza dell’interesse del giovane Giacomo verso il linguaggio comune, e verso un tentativo di recupero di detto linguaggio, che produrrà in seguito frutti ben più maturi. Segnalo in particolare l’uso del dialogo, che, pur in prima persona, presuppone spesso un interlocutore, non sempre l’alter ego del poeta o la giovane malata: notevole, in quest’ottica, l’allocuzione (v. 30), d’ispirazione teatrale (3), al nunzio di cattive nuove. Vanno anche ricordati alcuni leitmotiv del pensiero leopardiano che vengono qui espressi per la prima volta, come quello sulla natura (v. 117), non ancora matrigna, ma certo non connotata positivamente. Rimando all’edizione mondadoriana del Rigoni per altre e più corpose suggestioni.

 

 

 

1 – Fra questi evidente l’errato accento acuto sulla negazione «nè». Se qualche dubbio può nascere da un paio d’occorrenze, partic. al v. 23, le altre – e sono in tutto nove nella sola lirica – non giustificano assolutamente questa grafia, oltretutto completamente assente dalla consuetudine grafica leopardiana. Viceversa accettabile l’interpretazione delle varianti, in pochi punti discutibile: fra questi il v. 125, ove di un precedente gioventù non vedo traccia; nonché la presunta virgola barrata a fine titolo: l’editore non ha riflettuto che non è facile barrare un punto; da ciò il segno di cancellatura diritto e perfettamente verticale, e non obliquo e ricurvo come quello della virgola (si veda il titolo della Dedicatoria ove ciò è anche più evidente). Ergo, il punto, a fine titolo, c’era; poi, conforme all’usus intermedio di quegli anni, è stato, dal Leopardi, depennato. Una svista invece, nella Storia del testo (p. 125), sembra essere la presunta oscillazione, nelle prime edizioni a stampa del titolo (malata vs inferma: l’apografo di Paolina, per quel che ne so, non la contempla, per cui andrebbe attribuita a divinatio, per altro contraddetta dall’Antona-Traversi 1887, che riportando criticamente i titoli delle edizioni precedenti non ne fa cenno). Più numerose le sviste della Dedicatoria, e questa volta nel testo stesso: un passo indietro rispetto all’edizione Flora, spesso poco curata nelle poesie “minori”, ma non in questo caso.

2 –Il Supplemento generale riporta: «Alla canzone per una donna malata ec. | Scrivi: ed è pur tanto bella, E tanto schietta.» (vv. 14-15). Ora AN, virgola esclusa, riporta già in pulito e senza correzioni questa lezione. Quindi 1) o l’appunto del Supplemento è anteriore ad AN, ma ciò è improbabile, dato il carattere “intermedio”, tra bozza e “buona” dell’autografo stesso 2) o questa parte del Supplemento va datata molto prima e ciò è altrettanto improbabile. Inoltre 1) o il titolo inferma è posteriore al Supplemento 3) o Leopardi qui dimentica o passa sopra alla modifica del titolo. Altre ipotesi (fra cui quella paranoica dell’aggiunta della virgola) sono possibili, per cui sospendo, per il momento, il giudizio. Si potrebbe forse ipotizzare che Leopardi, a Roma, distante dall’autografo, ricordasse male, a memoria, il v. 15 (es. *È così schietta, per influsso del così immediatamente successivo); il che, al solito, non è molto probabile.

3 – Si rammenti che di questi anni è anche l’idea della Telesilla. A tacer delle suggestioni del teatro alfieriano, ovvero di un autore il cui influsso non è mai troppo sopravvalutato in quegli anni.

 

 

 

© 09-05/2010—> 22.05.2010